di Benedetta Tintillini
Appena fuori dal centro, non lontano dal museo di San Francesco, si trova il convento di San Fortunato, il luogo per il quale fu realizzata la pala della Madonna della Cintola, ora conservata ai Musei Vaticani, e dove rimase fino a quando Montefalco non la regalò al papa nel 1848.
Alla figura di Fortunato, di cui si hanno scarsissime notizie, la città è molto legata da una forte devozione. Vissuto intorno al ‘200, Fortunato era il prete titolare della pieve preesistente al convento. Molte sono le leggende che accompagnarono la sua vita e la sua figura tanto costruire un’aura di santità. Tra gli altri, si narra che, dal bastone che Fortunato piantò in terra prese vita una pianta di leccio. La pianta ritenuta di San Fortunato, ora un albero altissimo, è ancora visibile nel bosco di lecci accanto al convento ed è possibile godere della sua ombra ristoratrice. A tale leggenda si richiama la sua iconografia e la pianta di leccio che appare alla sinistra della Madonna della cintola.
Molte furono le modifiche che subì il sito, dopo essere pieve divenne rocca e quindi, con l’avvento di frate Antonio e degli Osservanti, tornò alla sua destinazione religiosa. Fu proprio frate Antonio ad incaricare Benozzo per la realizzazione della pala e dì alcuni affreschi all’interno della chiesa, alcuni dei quali ancora parzialmente visibili.
Oltre il cancello d’ingresso si apre il quadriportico dove si affaccia la deliziosa Cappella delle Rose, affrescata da Tiberio di Assisi nel ‘500: dal soffitto a botte incombe la grande immagine di Dio benedicente attorniato da teneri serafini dai colori pastello ed il delicato incarnato, mentre alle pareti si possono ammirare episodi dell’indulgenza della Porziuncola.
La lunetta sulla porta di ingresso della chiesa di san Fortunato fu precedentemente attribuita a Benozzo ed ora al Mezzastris.
Nella chiesa cerco di immaginare la pala di Benozzo al suo posto, sull’altare maggiore, mentre resto affascinata dalla sua Madonna col Bambino ed angelo musicante che reca la sua firma, visibile sul basamento del pilastro. Purtroppo la figura della madonna è parzialmente tagliata dalla nicchia di un altare settecentesco… mi chiedo come abbiano potuto fare uno scempio simile… per fortuna è ancora bellissima.
Curioso vedere, addossata ad una parete, una copia della Madonna della Cintola realizzata dai frati durante gli anni, sicuramente animati dalla più profonda fede e devozione, non supportata però da altrettanto radicate capacità artistiche. L’enorme differenza (purtroppo per la copia) è ancora più tangibile ora che è possibile confrontarla da vicino con l’originale!
Lungo della via del ritorno passiamo davanti alla facciata in laterizio della chiesa di Santa Illuminata: è aperta e possiamo entrare! L’interno, ha le pareti completamente affrescate dal Mezzastris e dal Melanzio, pittore montefalchese di cui il museo conserva la grande immagine della Madonna del Soccorso. Mi incuriosiscono la presenza di Sant’Agata, per la quale non sapevo di una particolare devozione qui in Umbria, ed una piccola parete con la raffigurazione della Pietà sopra una lunga iscrizione: “ciascuna persona che dirà queste sette grati… dinanzi a la pietà in zenochioni (in ginocchio, ndr) con sette pater nostri e ave maria haverà trentaduemila anni di indulgenza… chi non sa leggere deve dire ventuno… altrettante ave marie e avrà quella medesima..”
Mi intenerisce l’idea di un’iscrizione con le istruzioni per l’uso per ottenere trentaduemila anni di indulgenza (chissà chi ha fissato tale ammontare), simbolo di una devozione semplice ed autentica che potesse donare, anche agli analfabeti, la speranza del sollievo dai “triboli”, almeno nell’aldilà.